Teatro sociale di Como

Alzi la mano chi non è stato preso da raccapriccio all’idea di ascoltare in religioso silenzio il canto (di norma assolutamente incomprensibile) di una signora bene in carne con una lancia in mano e con un elmo adorno di corna sulla testa; di assistere ai gorgheggi d’amor perduto del tenore, per sempre separato dalla soprano per colpa di un baritono ottuso quanto feroce. Eppure la magia del teatro d’opera, l’invenzione italiana che prese avvio alla fine del XVI secolo con il “recitar cantando”, è talmente forte che nessuno può resisterle, neppure un cuore di pietra. Più di una volta ho avuto la fortuna di assistere con stupore all’attenzione rapita con cui persone lontanissime per provenienza, tradizioni e cultura, ascoltavano le grandi storie del melodramma italiano, come le tragiche vicende di una sigaraia spagnola o la messa in scena di leggende nibelungiche.
Non si può – o meglio: non si deve – perdere l’opportunità di ascoltare almeno una volta nella vita una rappresentazione di teatro d’opera, la grande tradizione culturale prima ancora che musicale che visse la sua stagione più alta e trionfale nel secolo XIX. Ma come sempre quando ci si accinge a vivere un’esperienza di qualità, è indispensabile assicurarsi che questa avvenga nel rispetto di quei canoni che soli ne assicurano l’autenticità, il presupposto del suo valore.
Italia, Germania e Francia sono i paesi che vantano il più grande numero di teatri d’opera. In Italia in particolare ogni città di qualche rilevanza ha il proprio che di norma, nonostante i costi e la complessità di tal genere di spettacolo, offre rappresentazioni di alto livello.
Naturalmente anche Como ha il proprio, difeso e valorizzato nel corso del tempo dagli appassionati melomani comaschi a partire dall’anno di nascita, quel 1813 in cui vennero al mondo i più grandi interpreti del genere: Giuseppe Verdi e Richard Wagner.
Il teatro sorge sul luogo dove nella seconda metà del ‘200 fu costruito un castello che finì in rovina dopo vari adattamenti e manomissioni sul finire del ‘700. (Indovinate chi presiedette la riunione che sancì l’inizio dei lavori? Sì, proprio lui, Alessandro Volta). Così la sera del 28 agosto 1813 si alzò per la prima volta il sipario del Teatro Sociale di Como.
Un teatro fortunato che ha ospitato, grazie alla collaborazione con il Teatro alla Scala di Milano, i più grandi artisti di ogni epoca. Ne cito solo alcuni per ragioni di spazio: Giuditta Pasta e la Malibran; Del Monaco e Di Stefano; Scotto e Kabaivanska. E i più grandi direttori d’orchestra, da Toscanini a Muti.
Chi ha la fortuna di vivere o anche solo visitare per un breve periodo quel dono di benevoli dèi che va sotto il nome di comprensorio del Lago di Como, non deve perdere l’occasione anche di una semplice visita: i teatri d’opera hanno un che di misterioso e di fantastico quando le luci sono accese e i palchi vuoti. Se si è fortunati si potrà assistere ad una prova d’orchestra, o magari al lavoro del maestro concertatore. Oppure ascoltare gli esercizi difficili e faticosi dei cantanti e del loro accompagnatore al pianoforte. Forse dopo, anche la luce del lago non sembrerà più la stessa.

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